8/6/2021 – Tre grandi fusti di colonne in marmo sono stati individuati nelle acque del Tevere all’altezza della fossa Traiana, il canale artificiale scavato dall’imperatore Traiano per mettere in collegamento il porto di allora con il Tevere e che corrisponde all’odierno canale di Fiumicino. Il ritrovamento è il frutto della prima campagna portata a termine dall’archeologa subacquea Alessandra Ghelli neo responsabile del Servizio tutela del patrimonio subacqueo, appena istituito dal Parco archeologico di Ostia Antica. L’intervento è stato portato a termine con l’aiuto del Nucleo carabinieri subacquei di Roma e del Nucleo Tutela del patrimonio culturale di Roma. Le colonne, che si trovano a una profondità di cinque metri, provengono quasi sicuramente dal naufragio di un’imbarcazione nell’antica Roma. Il Tevere, infatti, era molto usato per i trasporti di merce e materiali.
Per Alessandro D’Alessio, direttore del Parco, “Pur parzialmente interrate nel letto e nell’argine, le colonne superano il metro di diametro e i due metri e mezzo di lunghezza.
Ma come sono finite nel Tevere? A volte una piccola parte dei carichi affidati al trasporto fluviale contro corrente lungo il Tevere, destinato alla stazione dei marmi al Testaccio, andava soggetto a incidenti di percorso e una volta finita fuori bordo diventava difficilmente recuperabile, specie se di dimensioni imponenti come le nostre colonne. Con il prossimo appuntamento con la tutela del patrimonio culturale subacqueo proveremo a prelevare piccoli campioni, per determinare il tipo di marmo e la sua provenienza. L’Arma dei Carabinieri ha già assicurato il suo contributo e insieme speriamo di giungere nel medio termine al recupero delle colonne”.
Sul fondo visibilità pari a zero, la scoperta è avvenuta al tatto. Nel corso delle diverse immersioni, i Carabinieri si sono imbattuti in numerosi detriti sommersi tra cui resti di scafi, carcasse animali in disfacimento, ma anche tronchi di medie e grandi dimensioni trasportati dalla corrente.
“Le attività nel mese di maggio si sono concentrate sui fondali della Fossa Traiana racconta l’archeologa e subacquea Alessandra Ghelli – Quello fluviale è uno degli ambienti più ostili dove si possa operare e, nonostante le profondità esigue, non superiori agli 8-10 metri, le possibili minacce e pericoli sono molteplici ed invisibili. Infatti già dopo i primi 2 metri, a causa dell’elevata densità del limo disciolto, l’acqua assume una colorazione marrone nerastra per diventare scurissima in profondità, impedendo pertanto ai Carabinieri subacquei di giovarsi della vista, che di fatto nelle operazioni è stata sostituita interamente dal tatto. I Subacquei, costretti ad utilizzare una zavorra maggiorata, indispensabile per essere più aderenti al fondo e contrastare efficacemente la corrente, si sono mossi a carponi usando esclusivamente le mani per tastare ciò che li circondava.
“Sebbene i fusti di colonna siano di grandi dimensioni” prosegue Alessandra Ghelli, “trovarli e individuarli è stato difficoltoso, è stato un lavoro prettamente tattile, soprattutto per il grado di visibilità che sul fondale è pari a zero. Ma l’altra difficoltà è costituita sempre dalla presenza delle correnti, per cui quando si lavora in immersione nel Tevere ci si deve ancorare sul fondale in maniera molto solida e si deve risalire la corrente quasi come fossimo dei granchi”.