
03/02/2025 – Ma è molto semplice: il frutto rivela l’albero. Possiamo farci vedere, dirci, mostrarci, dichiararci, esporci ai media, accendere su di noi i riflettori, avere l’outfit, fare il cambio d’immagine, 2, 3, 4 social forum etc.; tuttavia i nostri ‘frutti’ rivelano che ‘albero’ siamo.
Il ‘frutto’ non è solo apparenza, non è virtuale non è il prodotto della stampante 3d o dell’intelligenza artificiale; si vede certo, ma si coglie, si annusa, si assaggia, si mastica, di digerisce etc.
Egli rivelerà cosa è cresciuto e cresce da noi.
La riflessione al vangelo ascoltata nella chiesa Stella del Mare poche ore fa, lungomare Paolo Toscanelli, rettoria della comunità di sant’Egidio di Ostia, è davvero molto interessante e importante; tantissimi si dicono cristiani, tanti opinion leader, tanti politici, ma che frutto fanno?
Questo li rivela al di là di ogni dichiarazione.
La vita dello Spirito infatti non è separata dalla manifestazione materiale.
Un frutto facile a veder sbocciare è quello delle ‘nostre parole’; viene quasi da dire che i cristiani dovrebbero anche dire qualcosa di cristiano nella loro quotidianità perché le parole sono importanti.
𝐷𝑎𝑙 𝑣𝑎𝑛𝑔𝑒𝑙𝑜 𝑑𝑖 𝐿𝑢𝑐𝑎 6,39-45
«𝐷𝑖𝑠𝑠𝑒 𝑙𝑜𝑟𝑜 𝑎𝑛𝑐ℎ𝑒 𝑢𝑛𝑎 𝑝𝑎𝑟𝑎𝑏𝑜𝑙𝑎: “𝑃𝑢𝑜̀ 𝑓𝑜𝑟𝑠𝑒 𝑢𝑛 𝑐𝑖𝑒𝑐𝑜 𝑔𝑢𝑖𝑑𝑎𝑟𝑒 𝑢𝑛 𝑎𝑙𝑡𝑟𝑜 𝑐𝑖𝑒𝑐𝑜? 𝑁𝑜𝑛 𝑐𝑎𝑑𝑟𝑎𝑛𝑛𝑜 𝑡𝑢𝑡𝑡𝑖 𝑒 𝑑𝑢𝑒 𝑖𝑛 𝑢𝑛 𝑓𝑜𝑠𝑠𝑜? 𝑈𝑛 𝑑𝑖𝑠𝑐𝑒𝑝𝑜𝑙𝑜 𝑛𝑜𝑛 𝑒̀ 𝑝𝑖𝑢̀ 𝑑𝑒𝑙 𝑚𝑎𝑒𝑠𝑡𝑟𝑜; 𝑚𝑎 𝑜𝑔𝑛𝑢𝑛𝑜, 𝑐ℎ𝑒 𝑠𝑖𝑎 𝑏𝑒𝑛 𝑝𝑟𝑒𝑝𝑎𝑟𝑎𝑡𝑜, 𝑠𝑎𝑟𝑎̀ 𝑐𝑜𝑚𝑒 𝑖𝑙 𝑠𝑢𝑜 𝑚𝑎𝑒𝑠𝑡𝑟𝑜…»
Il breve passo del Siracide che ci invita a riflettere sul peso delle parole, in questi giorni di guerra mostra la sua verità come non mai. Quante parole false e ambigue hanno giustificato azioni di guerra e di oppressione!
Gesù stesso – nel Vangelo di Matteo – avverte i discepoli che “di ogni parola che sarà detta senza fondamento, si renderà conto nel giorno del giudizio; poiché in base alle tue parole sarai giustificato e in base alle tue parole sarai condannato” (Mt 12,36-37).
E le parole “dette senza fondamento” sono quelle che abbattono senza far rialzare, quelle che distruggono senza ricostruire, che avviliscono senza poi sostenere. Parole che nascono da un cuore cattivo che non si cura del bene degli altri.
La pagina del Vangelo di Luca afferma che è da un cuore buono che nascono parole buone, utili, che edificano: “Non c’è albero buono che faccia frutti cattivi, né albero cattivo che faccia frutti buoni.
Ogni albero si riconosce dai suoi frutti”. E ancora: “Può forse un cieco guidare un altro cieco? Ambedue cadranno in una buca”.
Con queste affermazioni Gesù vuole richiamare la centralità del cuore nella vita dei discepoli.
I comportamenti – come anche le parole – manifestano quel che siamo dentro, quel che pulsa nel nostro cuore, quel che sostanzia la nostra vita. Di qui la necessità per il discepolo di lasciarsi vagliare dalla “Parola di Dio”, di lasciare che essa fermenti il cuore, lo trasformi, per poter generare parole e comportamenti conformi alla Parola che ha ascoltato.
È la via perché il discepolo diventi testimone del Vangelo: il suo esempio e le sue parole sono una luce anche per gli altri. La cecità è l’effetto amaro della concentrazione su sé stessi, del ripiegamento sulle proprie convinzioni non illuminate dalla Parola di Dio.