
08/07/2023 – In occasione della “domenica del mare” giornata internazionale di preghiera per i marittimi a sollevare una profonda riflessione sul suo valore esplicito e implicitamente di Ostia, porta marina di una millenaria Roma cristiana, è la professoressa Paola Nardecchia anche consigliera della commissione cultura ecclesiale della prefettura lidense nella diocesi di Roma.
“Gli abitanti di Ostia possano riconoscersi gli eredi si una storia, una cultura, un’identità millenaria che li vuole la porta marina della Roma cristiana.” Con tutto ciò che questo comporta: conoscenza, valore, bellezza.
“Io sono alla ‘porta’ e busso” – dice il Signore Gesù – e questo metaforicamente ci investe di una Luce davvero speciale.
E allora, cosa può consistere, simbolicamente, questo ‘bussare’ del Cristo di Dio a Ostia e verso i suoi abitanti (sebbene nel significato evangelico si riferisca a qualcosa di molto più importante, ndr)? Forse ha senso (comunque) profondo allora seguire questa documentazione che ci viene da Roma ma quanto mai, oltre la chiesa universale, riguarda il nostro Territorio.
Il 9 luglio 2023 si celebra la “Domenica del mare”, una giornata
internazionale di preghiera per i marittimi – oltre un milione – e le
loro famiglie, ma anche per coloro che nella Chiesa offrono loro
supporto, come i cappellani e i volontari che si dedicano all’Apostolato
del Mare, l’opera con cui si assistono spiritualmente i lavoratori del mare
fin dal 1920.
Così ci scrive, a proposito, il Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale.
“Cari fratelli e sorelle in Cristo,
sin dalla prima ora il vangelo ha raggiunto ogni angolo del mondo
attraverso grandi navi. Gli Atti degli Apostoli e gli altri scritti del Nuovo
Testamento ci raccontano in molti modi la vita che i messaggeri della
Buona Notizia trascorrevano con i lavoratori del mare, a volte per
mesi, condividendo la quotidianità e aprendo menti e cuori alla
fede.
La Domenica del mare offre ogni anno alle comunità cattoliche di
tutto il mondo la possibilità di non dimenticare le proprie origini e di
pregare per coloro che lavorano oggi sulle navi che trasportano merci
nel mondo intero. Si tratta di oltre un milione di esseri umani grazie ai
quali la nostra quotidianità diviene possibile e l’economia si sostiene. Di
loro, della loro fede, di come possano amare e sperare, quasi nulla
sappiamo.
La domenica è il giorno dell’Eucaristia, la Pasqua settimanale: sono
molti a non avervi accesso perché forzatamente lontani dai loro cari
e dalla propria comunità. Per tutta la Chiesa celebrare il Risorto significa allo stesso tempo non dimenticare nessuno, far correre la salvezza
dappertutto, chiedersi come chi è assente e invisibile possa sentirsi
salvato e prezioso, portatore di una dignità che è quella di ogni figlio di Dio.
Gli apostoli raccontavano Gesù sulle navi, radunavano comunità in
ogni città di porto: erano dunque presenti a un mondo che oggi è
sempre meno conosciuto. La complessa organizzazione delle nostre
società e una certa propensione a nascondere le diseguaglianze
lasciano spesso in una zona d’ombra i tesori spirituali e i bisogni
materiali delle persone umili. La Domenica del mare non è dunque
riservata agli addetti ai lavori, ma accende l’attenzione di ogni comunità
cristiana su coloro grazie ai quali ci raggiungono gran parte dei beni di
cui ci nutriamo o facciamo uso ogni giorno. A chi oggi è in mare giunga
allora un messaggio corale: la Chiesa vi è vicina. Ciò che vi rallegra e
ciò che vi opprime ci sta a cuore. Non abbiamo solo da darvi qualcosa,
ma anche da ricevere il vostro racconto, le vostre testimonianze: il
punto di vista sul lavoro, sull’economia, sui rapporti fra religioni e
culture diverse, sulle condizioni del mare e della terra, sulla fede,
che soltanto dalla vostra esperienza può raggiungere e interrogare tutti i
membri della Chiesa e, per loro tramite, le nostre società.
Siamo una Chiesa sinodale, in cui cioè si cammina insieme.
Dobbiamo andare avanti insieme, navigare insieme, senza lasciare
nessuno indietro, e arricchirci l’un l’altro. Nessuno pensi di non avere
nulla da offrire. Se dunque c’è uno sforzo che quest’anno ci vogliamo
proporre è proprio quello di verificare i modi con cui essere più vicini, in
uno scambio continuo che renda il vostro lavoro meno lontano dal
percorso e dalla fede di tutti (…)”
L’ Apostolato del Mare (la cui sigla è A.M.) è l‘opera ufficiale della Chiesa cattolica per il
servizio pastorale della gente di mare, per assicurare l’assistenza religiosa ai migranti, italiani stranieri.
Promuove nelle comunità cristiane atteggiamenti e opere di fraterna accoglienza nei riguardi dei migranti e degli itineranti; favorisce nella stessa comunità civile la comprensione e la valorizzazione della loro identità in un clima di convivenza pacifica e rispettosa dei diritti della persona umana.
(…) «Siamo al servizio di chi è in difficoltà», racconta don Bruno Bignami, direttore
nazionale di questo servizio pastorale e dell’ufficio nazionale per i problemi
sociali e il lavoro della conferenza episcopale italiana.
«Oggi il 90 per centodelle merci sui nostri mercati è trasportato via mare: ciò comporta uno
scambio notevole di persone, che ruotano tra i porti di diversi Stati e
continenti». Uomini e donne provenienti da ogni parte del mondo, il cui unico confine è la costa cui approderanno.
Servono legàmi solidi come reti, necessari per resistere alla minaccia peggiore:
la solitudine.
«Pensiamo a chi per lavoro viaggia per mare e rimane lontano
anche otto, dieci mesi». O più di un anno, durante la pandemia. «Una delle
questioni più sensibili riguarda le navi abbandonate dal proprio armatore, dove
chi si trova a bordo non è autorizzato a lasciare l’imbarcazione finché la
questione legale non viene risolta. Possono trascorrere mesi, spesso rimanendo
senza cibo né acqua».
Sono nati progetti come “Liberi di partire, liberi di restare” per l’ospitalità e il
sostegno alle migrazioni, destinati a Paesi di provenienza o transito».
Il tema dell’impegno individuale e collettivo ricorre anche quando si parla di
ambiente e salvaguardia degli oceani.
«Dall’impoverimento della biodiversitàalle isole di plastica – prosegue don Bignami – la responsabilità non è solo dichi vive sulla costa: i rifiuti finiscono nel mare anche e soprattutto attraverso i fiumi. Nel tempo diventano microplastiche, che ingoiate dai pesci entrano nella catena alimentare, di cui l’uomo è parte. La cura dell’ambiente riguarda tutti noi, educarci ad un diverso modello di rapporto con la natura è fondamentale».
È il concetto di ecologia integrale: «Ogni questione a carattere ambientale è
legata alla qualità delle relazioni che si vivono», puntualizza. Una reazione a
catena, in cui un piccolo gesto può avere ripercussioni a grandi distanze. E
come accade per le onde, può trasformarsi in distruzione o salvezza. «È una
metafora duplice: da un lato c’è lo tsunami, che arriva imponente e devasta ciò
che incontra sulla propria strada. Dall’altro c’è quella “onda positiva”, spesso
citata da Papa Francesco: è la solidarietà tra i popoli. Quando parliamo di porti,
parliamo di spazi aperti. Luoghi di approdo. L’onda ci ricorda come abbiamo
bisogno di aprirci gli uni agli altri e creare opportunità di ospitalità, di
relazione».
Sdt