Negli ultimi mesi la protesta di Laura Massaro contro la decisione del Tribunale per i Minorenni di Roma, che disponeva il collocamento del figlio presso il padre, ha trovato ampio spazio sui social e sulle testate giornalistiche.
La signora invocava giustizia.
Il recentissimo provvedimento della Corte d’Appello riformula parzialmente la decisione, prevedendo un più graduale avvicinamento del bambino al padre. Nell’arco di un solo giorno vengono rilasciate numerose interviste, sollecitati articoli, scritti centinaia di post sui social. La signora si dichiara vincente.
Ma a quale giustizia fa appello la signora Massaro? Cosa ritiene di aver vinto?
Per chi conosce i fatti, la versione che la madre impone con crescente rilievo mediatico è pericolosamente distorta. Ma anche per chi non li conosce, ci chiediamo se possa apparire credibile che un bambino di poco più di due anni decida di non voler vedere più il padre e riesca a tenere tenacemente questo proposito per oltre sei anni, dal 2013 ad oggi, senza mai riuscire a spiegarne il perché.
Il rischio, in assenza di contraddittorio, è quello di farci dimenticare che c’è anche la versione di chi, confidando davvero nella possibilità che la giustizia istituzionale sblocchi questa situazione prima che sia troppo tardi, preferisce non usare il megafono.
Contro ogni dato di realtà e noncurante delle norme del nostro ordinamento, Laura Massaro continua a definire se stessa una “madre idonea”, nonostante le risultanze di due Consulenze Tecniche d’Ufficio ne abbiano evidenziato le significative disfunzionalità e le decisioni dell’Autorità Giudiziaria continuino a confermare la grave negatività del suo operato. Continua a definirsi “vittima di violenza” solo per essersi rivolta ad un centro antiviolenza, e nonostante tutte le accuse e le denunce nei confronti dell’ex-compagno non abbiano trovato – MAI – alcun riscontro, né alcun fondamento giuridico o psicologico. Una rappresentazione diffamatoria, dunque, in cui la signora confonde i fatti con i suoi personalissimi vissuti, dimenticando che anche la falsa denuncia è una forma di violenza.
Continua a descrivere l’altro genitore come un persecutore, uno “stalker”, solo per non essersi voluto arrendere al distanziamento immotivato da un figlio anche suo, imposto da una madre che nega il valore della figura paterna sullo sviluppo di un bambino.
Per sostenere la sua posizione, la sig.ra Massaro continua a sfidare con convinzione l’ordinamento italiano e internazionale, nonché decenni di letteratura scientifica, mettendo in discussione il concetto di bigenitorialità.
E di fronte alla convergenza di giudici e professionisti di riconosciuta competenza ed esperienza, che nel tempo hanno sempre confermato un orientamento contrario alla sua posizione, è arrivata a rappresentarsi come vittima di un malevolo disegno criminoso ad opera delle istituzioni, che vorrebbero incomprensibilmente separarla da suo figlio. La schiera dei “nemici” della sig.ra Massaro, dal 2013 ad oggi, si è dunque progressivamente ampliata nel tempo. Dal padre del bambino, a consulenti tecnici, psicologi, assistenti sociali, educatori, tutori, arrivando a comprendere i giudici di tre diversi Tribunali. Tanto che la signora è arrivata a presentarsi come vittima di una “violenza istituzionale”. Mai una riflessione. Nessun dubbio, nessun ripensamento.
Laura Massaro continua ad invocare giustizia. Ma giustizia per chi?
La signora continua a promuovere se stessa come paladina di un anacronistico primato genitoriale materno, non riconosciuto da alcun ordinamento giuridico, né da alcuna teoria psicologica con carattere di scientificità.
Di fronte agli ultimi provvedimenti del Tribunale per i Minorenni e all’esito del recente ricorso in Corte d’Appello colpiscono le chiassose iniziative e la visibilità mediatica che ha ritenuto di dare a se stessa e al suo caso.
Colpisce la disinvoltura con la quale la signora Massaro, che esprime con tanta veemenza la motivazione a proteggere il suo bambino, possa darlo in pasto alle piazze, attribuendogli pubblicamente la “propria” rappresentazione di bambino malato, figlio di un padre violento e abusante, segnando così in modo falsificato e irreversibile la sua storia.
Colpisce la risentita negligenza con la quale lo ha sempre accompagnato ai colloqui di CTU, alle audizioni in Tribunale, agli incontri assistiti disposti per facilitare la relazione padre bambino, dimenticando che un genitore idoneo è (eventualmente) anche colui che aiuta il figlio a prendere una medicina che gli farà bene.
Colpisce la perseveranza con la quale continua a sottrargli risorse, tempo, energie, possibilità. Un bambino reso “orfano di un padre vivo” che, come un condannato a morte in attesa del patibolo, a nove anni – su iniziativa della madre – non va più a scuola da mesi, per ostacolare (o spettacolarizzare?) l’esecuzione del decreto del Tribunale che avrebbe dovuto condurlo dal padre. 3
Colpisce che chi invoca giustizia non la rispetti, e che in uno Stato di diritto anche i media possano muoversi sulla base di informazioni parziali e in totale assenza di contraddittorio. O, anche, che contrastare l’esecuzione di un decreto possa essere ostentato come un valore. Colpisce, infine, che un bambino così spaventato non sia stato inviato, per opposizione della stessa madre, al percorso di psicoterapia prescritto da tempo dal Tribunale per i Minorenni, che forse lo avrebbe aiutato a comprendere il senso reale di ciò che stava accadendo.
Ci si chiede, dunque, se la giustizia invocata da Laura Massaro, più che ad una tutela del figlio, faccia – piuttosto – riferimento ad una sua personale battaglia contro il padre del bambino, che la signora intende vincere a qualsiasi costo, e della quale il figlio è semplicemente la principale vittima.
Giuseppe Apadula