LA PSICOLOGA – Mamma mi fa male la pancia…. quando il corpo parla…


18/2/2016 – Da sempre negli studi scientifici è presente una discordanza di opinione in merito alla relazione tra mente-corpo. Anche se le ultime teorie cercano di unificare i due aspetti e di studiare le forti interconnessioni tra i disturbi della mente e quelli del corpo, ancora molti specialisti non riescono ad avere un pensiero uniforme e collaborativo tra i diversi settori della medicina e della psicologia.

Per antonomasia il disturbo che mette in evidenza questa esigenza di unificazione è quello psicosomatico; è caratterizzato da quei sintomi fisici che esprimono una condizione di malessere psichico e di disagio emotivo che il soggetto non riesce a verbalizzare ed esternare se non attraverso il corpo e che possono diventare molto invalidanti sfociando, per esempio, in forti attacchi di panico, tachicardia ed ansia diffusa.

Nell’adulto spesso il disagio psicosomatico è più difficile da affrontare perché può essersi cronicizzato. E’ possibile che in un passato anche recente si sia manifestato in altro modo, ad esempio con piccoli stati di agitazione e solo successivamente si sia cronicizzato a tal punto da diventare un forte disagio del corpo, che la mente deve cogliere per ri-iniziare a funzionare in modo armonioso.

Nel bambino invece tale meccanismo “sintomo–corpo–impossibilità di comunicare” non è già così rigidamente connesso. Il linguaggio del corpo è ancora facilmente decifrabile ed il messaggio del disturbo psicosomatico è facilmente interpretabile. Si farà un esempio per rendere più chiaro il concetto.

Una donna che da anni ha un conflitto latente con il proprio marito, fatto di lunghi silenzi e di mancanza di gesti affettuosi, ogni volta che torna a casa sente un nodo alla gola e, se è presente il marito, prova un’ansia diffusa per tutto il corpo. Questi lievi sintomi vengono trascurati dalla donna e la vita continua con un disagio psicologico ed ambientale che ogni giorno diventa sempre più forte. A casa c’è oramai una forte tensione, colta anche dai due figli della coppia. Ad un certo punto, all’ apparenza all’ improvviso, la donna ogni volta che si mette in macchina per tornare a casa inizia a sentire un forte senso d’ angoscia, non riesce a respirare ed ha una tachicardia che la agita ancora di più. Deve aspettare 20 minuti prima che questo terribile stato le passi del tutto e che riesca a guidare. Inizialmente pensa che sia dovuto a mal di cuore e va a fare una visita specialistica ma successivamente, non avendo i medici riscontrato alcunché, inizia a capire che alla base ci sono problemi psicologici irrisolti.

Passiamo all’esempio di un bambino. Vittorio ha 10 anni. Andare a scuola per lui sta diventando sempre più pesante. La maestra di matematica ha l’abitudine di urlare a tutta la classe ed in particolare a quei bambini che ritiene che ci “marcino” nel dire che non hanno capito la lezione e che quindi non riescono a fare i compiti . Passano i giorni e la maestra continua ad essere poco disponibile e respingente con questi bambini e con Vittorio soprattutto. A casa i genitori, sicuramente distratti dai loro problemi, sottovalutano la difficoltà del figlio, anche se il bambino manifesta questo suo forte disagio dicendo che quella maestra è cattiva e che urla sempre. Ad un certo punto Vittorio inizia a rifiutarsi di andare a scuola sempre e solo nei giorni in cui sa che ci sarà in classe la maestra di matematica. Tuttavia anche questi comportamenti non sono letti correttamente dai genitori che continuano ad insistere a che lui non faccia i “capricci” e che non crei loro problemi inutili. L’éscalation aumenta ed il bambino inizia a manifestare forti attacchi di mal di pancia che obbligano i genitori ad affrontare con lui il problema.

I meccanismi sono simili sia nella donna dell’esempio sia in Vittorio. Nel bambino, però, sono meno profondamente radicalizzati e sono più espliciti ed il meccanismo causa-effetto è più

diretto. Altra caratteristica del disturbo psicosomatico del bambino è quella che quasi sempre è presente in lui un bisogno di prolungare l’attaccamento al padre e alla madre (o anche ai nonni, se figure presenti nella sua vita); ciò può portare, da parte dei genitori con atteggiamenti molto protettivi, a mantenere il sintomo. Spesso il bambino in questo sintomo si sente chiuso, “prigioniero” e se ne vergogna agli occhi dei sui compagni. Inizia a sentirsi diverso in una fase in cui è fondamentale sentirsi e riconoscersi nel gruppo degli amici, inizia a chiudersi e trincerarsi dietro i sintomi che possono diventare sempre più invalidanti. In questo caso è fondamentale il ruolo dei genitori che devono spronare il bambino e dargli fiducia, trasmettergli che può uscire fuori dalla paura e dall’ansia nelle quali è inserito. Devono mandargli il messaggio che ce la può fare, incoraggiarlo nelle sue scelte ed ascoltarlo molto. Può accadere, invece, che i genitori si terrorizzino e si blocchino anche loro, che non riescano a superare il blocco del figlio che diventa così un blocco familiare. Spesso la troppa tolleranza dei genitori verso il sintomo porta a fermare il figlio nello sviluppo della sua autonomia, ad aumentare la dipendenza verso l’ ambiente familiare, attivando in tal modo un circolo vizioso dipendenza figlio- dipendenza genitori e viceversa.

Si evince che il compito della terapia è su più fronti. Innanzitutto il terapeuta deve lavorare con il bambino per far emergere le sue difficoltà e le sue paure, deve lavorare affinchè il bambino impari a parlare non solo attraverso il corpo ma anche con il linguaggio verbale, delle parole. Molto spesso è opportuno utilizzare i disegni del bambino in quanto possono trasmettere le sue emozioni più vere, più profonde. Sanno esprimere ciò che è difficile “tirare fuori” con le parole.

Su un altro fronte il terapeuta deve lavorare con la famiglia e soprattutto con i genitori per poter ridare al bambino la sua giusta età, per poter restituire il senso di fiducia verso se stesso e verso il futuro che soltanto i genitori possono trasmettere al proprio figlio. Spesso i genitori si sentono impotenti di fronte al sintomo ed è importante arrivare a restituire loro la capacità di poter aiutare il proprio bambino.

E’ importante questo lavoro terapeutico bambino-famiglia. Solo così il disagio profondo del bambino può prendere forma evitando che si cronicizzi e che diventi addirittura l’ unica possibilità di comunicazione dell’attuale bambino e del futuro adulto.

Dottoressa Stefania Martina – psicologa, psicoterapeuta

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