Eraldo Monzeglio, “Il terzino e il Duce” un campione e un uomo perbene nel libro di Alessandro Fulloni


Due storie parallele che corrono sui binari di un periodo storico drammatico e non soltanto per il nostro Paese: il Ventennio fascista.

Da una parte la vicenda politica. Dall’altra quella di un uomo, di un calciatore osannato dal pubblico degli stadi. Un campione che tra dribbling e titoli mondiali ha condiviso buona parte dell’esistenza della famiglia Mussolini tanto da diventarne persona di fiducia.

Il terzino e il Duce” (ed. Solferino) è il titolo del romanzo di Alessandro Fulloni, storica “penna” del Mare di Roma (il Giornale di Ostia) da anni al Corriere della Sera.

Il libro (sarà presentato giovedì pomeriggio al Teatro del Lido) è un viaggio nella storia di quegli anni e, allo stesso tempo, un viaggio nel mondo dello sport più amato. Due mondi solo apparentemente distanti e che ancor più in questo caso si intrecciano e si fondono grazie al protagonista: Eraldo Monzeglio.

Alessandro, com’è scattata l’idea di questo testo? Come hai scoperto questo personaggio?

Per caso su Facebook mi sono imbattuto nel profilo dei reduci della campagna di Russia del 1942. C’era una foto di Monzeglio in divisa al fronte. Mi sono chiesto come mai un due volte campione del Mondo nel 1934 e nel 1938 dall’erba verde degli stadi potesse essere passato al fronte e da volontario. Mi sono incuriosito e subito ho pensato ad un libro. Posso dire che nell’arco di tre giorni ho deciso di scriverlo. È stato un colpo di fulmine per una vicenda che va oltre ogni immaginazione. Ho iniziato la ricerca anche dei possibili testimoni superstiti e, a mano a mano che trovavo notizie, emergeva una zona grigia. Qualcosa non quadrava in merito al suo legame con il Duce e per quanto riguarda alcuni episodi che lo hanno portato a salvare la vita a personaggi della Resistenza. Ho iniziato a scavare negli archivi compreso gli articoli di giornalisti sportivi quali Gianni Brera e Antonio Ghirelli e tassello dopo tassello il mio interesse cresceva sempre di più.

Una lunga ricerca e poi l’incontro con un testimone anche lui incredibile: Claudio Cimnaghi.

Appassionato di calcio è dire poco. La sua figura è legata al Como e alle tifoserie ma soprattutto è stato amico fraterno di Monzeglio e in una zona che ha molto da dire tra Fascismo e Resistenza. Cimnaghi, 94 anni, mi ha preso per mano e con la sua eccezionale memoria, dal settembre del 2022 fino a pochi mesi fa, nelle 10/15 volte che ci siamo visti nella sua casa sul lago, ho avuto modo di scandagliare nella vita di Monzeglio che nel 1946 allenò proprio il Como.

Un calciatore a casa Mussolini. Come è iniziata questa amicizia?

Complice il mare della riviera romagnola conosce Bruno e Vittorio, i figli (laziali) del Duce. Da lì a frequentare Villa Torlonia è stato un attimo. Era  diventato una sorta di personal trainer di Mussolini e in particolare è stato suo maestro di tennis. Al fondatore del Fascismo interessava vincere. Tra un set e l’altro Monzeglio divenne più che amico dell’intera famiglia tanto che quando Bruno morì in un incidente aereo nel 1941, proprio il nostro terzino fu incaricato di organizzare il suo funerale come si evince dai documenti.

Così vicino al Duce e poi, come poi si è saputo, così coraggioso da salvare partigiani.

Ed ebrei. Faceva parte della sua personalità. Emblematici due episodi: il primo quello che riguarda Giuseppe Perucchetti, già portiere di Inter e Juve, partigiano condannato a morte che deve la vita a Monzeglio grazie ai contatti che quest’ultimo aveva con la Resistenza. Il secondo episodio riguarda Edda Ciano con la quale c’era un rapporto speciale. La accompagnò al carcere di Verona dove era rinchiuso il marito Galeazzo e lo fece nonostante la presenza dei nazisti ormai in ritirata.

Incredibile come nel tuo romanzo si incontrino personaggi politici, calciatori, giornalisti che hanno comunque avuto a che fare con Monzeglio.

È quello che ha sbalordito anche me. Mi sono imbattuto in un uomo che ha fatto la storia, un Forrest Gump del Fascismo, testimone e protagonista. Un intenditore di calcio che ha contribuito al primo scudetto della Roma. Per lui nel calcio era fondamentale il gruppo. Per raccontare Monzeglio ho riletto di Pozzo, Amadei, Scopigno. E poi c’è l’incontro con l’avvocato Agnelli, conosciuto al fronte in Russia e che negli anni ’60 si ricorda di lui e lo chiama per fargli allenare la Juve. Ma dura poco.

Due anni a tu per tu con la storia di Monzeglio. Alla fine di questo viaggio chi era secondo te?

Della sua vita privata non si sa nulla. Qualche notizia sulla sua omosessualità si trova anche in un articolo degli anni ’80 direi poco rispettoso di Gianni Brera. Ha fatto sempre i conti con la sua coscienza. Direi che era un uomo perbene.


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