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18/10/2017 – Si è iniziato a parlare di Mobbing familiare solo negli ultimi dieci o quindici anni, soprattutto in seguito ad una sentenza di separazione la cui motivazione ha puntato proprio sul riconoscimento a favore del marito di essere stato vittima di mobbing da parte della moglie che, per anni, aveva avuto comportamenti lesivi della dignità del coniuge.
Il mobbing coniugale, al pari di quello lavorativo, passa attraverso maltrattamenti, denigrazioni e molestie psico-fisiche proprio per sminuire l’altro e disintegrarlo psichicamente spingendolo anche a sentirsi in colpa, a non riconoscere più il confine tra ciò che è la sua idea di sé e ciò che il coniuge lo induce a credere del suo essere. Quindi non è una violenza fisica, almeno non solo, ma è una distruzione del sé dell’altro, certe volte anche molto lenta e oculata, una vera strategia persecutoria al fine di definire il proprio potere e per allontanare il coniuge dal contesto familiare o, più astutamente, per spingerlo ad accettare la separazione consensuale pur di chiudere e di uscire dalle dinamiche estenuanti e devastanti del rapporto. Ciò che più frequentemente accade è la denigrazione dell’altro soprattutto davanti ai figli (mobbing familiare), per poterne avere potere pieno, per controllare la relazione ostacolando una comunicazione diretta e intima tra figlio e genitore. L’obiettivo, quindi, è quello di delegittimare, emarginare ed estromettere l’altro da qualunque decisione riguardante la vita coniugale ma soprattutto familiare e genitoriale. Succede, infatti, che la “vittima” si allontana spontaneamente dalla casa coniugale, rinunciando ai personali diritti di ogni natura pur di interrompere il circolo doloroso che la sta esaurendo. Chi subisce queste azioni cade in una condizione emotiva simile a chi è vittima di violenze fisiche. Tende a negare e a nascondere ciò che sta accadendo, per vergogna, per timore che venga intaccata la propria dignità, per il timore di essere fraintesi o giudicati. Le violenze vengono taciute anche per paura di vendetta o di alterare ulteriormente l’unità familiare.
Ovviamente anche questa forma di mobbing ha conseguenze emotive che possono sfociare in un disturbo post traumatico da stress o in una sindrome ansioso-depressiva con il caratteristico senso di angoscia, di inadeguatezza, disturbi a livello gastrico ed intestinale, del sonno, della sfera sessuale.
Esemplificativo di quanto descritto è la situazione vissuta da Riccardo e Dora. Si incontrano
e velocemente decidono di vivere insieme quando lui aveva 50 anni e lei 46. Entrambi con un matrimonio alle spalle. Riccardo con un figlio di 14 anni. Dora si è separata dopo nemmeno un anno di matrimonio e due di convivenza perché il marito aveva grosse difficoltà a procreare. E’ cresciuta quasi come una figlia unica perché il fratello, più grande di dodici anni, a 18 era andato via, lontano dalla famiglia per non tornarci quasi più. I genitori di Dora hanno cercato di compensare il proprio senso di genitorialità fallita col primo figlio dando alla piccola tutte le attenzioni e tutto ciò che avevano a disposizione, andando pure oltre le loro possibilità, pur di non far “scappare” anche Dora. Purtroppo, questo comportamento genitoriale ha fatto di Dora una persona pretenziosa e poco propensa ad accettare il rifiuto.
Riccardo è un uomo di grande successo lavorativo, con una carriera che nel tempo gli ha fruttato una buona condizione economica. Legato alla ex moglie da un profondo affetto e dalla decisione condivisa di mantenersi complici nel loro ruolo genitoriale. La sua famiglia, di umili origini, lo ha cresciuto in maniera semplice ed immediata, gli ha insegnato che bisogna essere uniti, onesti e sinceri, che è importante darsi e dare una mano. Aspetti questi che, a suo dire, probabilmente lo aiutano in tutti i rapporti interpersonali, anche nell’ambito lavorativo. Dora e Riccardo si incontrano ad una festa di amici. Lei esplicita subito il suo essere poco affettuosa ma molto interessata ad avere un rapporto intenso e profondo con lui. Ai primi rapporti sessuali gli chiede di non prendere precauzioni, di viversi liberamente la sessualità vista la loro età avanzata per correre rischi di gravidanza. Dora non rimane subito incinta, ci vogliono sei o sette mesi. In quel periodo Riccardo, guardando a ritroso a quel che è successo, aveva iniziato a percepire una strana freddezza in lei, una sorta di continua tensione che però non riusciva ad attribuire a nulla di particolarmente importante. Ricorda però quanto in quei mesi Dora avesse voglia di fare sesso solo nel periodo di probabile fertilità. Aveva attribuito il calo del desiderio di Dora alle insoddisfazioni e difficoltà lavorative che lei stava affrontando. Il quadro inizia ad essere chiaro quando Dora rimane incinta. Lui non ha problemi di alcun tipo all’idea di diventare padre per la seconda volta. Dopo il fallimento del precedente rapporto stava investendo tutte le sue energie in quello con Dora, con l’idea di continuare insieme molto a lungo. Dora, con il suo trofeo in pancia, inizia ad esplicitare il totale disinteresse a condividere qualunque cosa con Riccardo. Da un bel viaggio al sesso, che scompare del tutto, al rapporto con il figlio e con i parenti di lui, con gli amici. Anche la gravidanza, per lui un bellissimo “miracolo”, è poco condivisa. Dora infatti sceglie la madre per farsi accompagnare ai diversi accertamenti o acquisti per prepararsi alla nascita. L’arrivo di Pietro sancisce e chiarisce a Riccardo di essere in una guerra fredda in cui Dora non esplicita nulla ma che, attraverso la sua indifferenza e rifiuto di qualunque proposta o avvicinamento di lui, lentamente lo vuole logorare. Ai tentativi di Riccardo di avere un confronto su ciò che sta accadendo, Dora risponde che per lei va tutto bene, che è lui che vede ciò che non c’è, che si comporta come un bambino viziato che vuole tutto. Riccardo cade in un forte disorientamento, si butta a capofitto nel lavoro passando tutto il suo tempo libero con Pietro, a giocarci, ad accudirlo, ad aiutarlo a fare pian piano i primi passi, a crescere. Il suo malessere è enorme ma non vuole ritrovarsi di nuovo con un fallimento, a dover cominciare di nuovo una vita. Inizia ad avere dei sintomi importanti. Gli manca spesso l’aria, non riesce quasi più a mettere la cravatta o la cintura un po’ più stretta. Chiede aiuto a Dora che invece, nelle poche aperture di dialogo, gli dice che è solo un egoista e che vuole unicamente attirare l’attenzione. Riccardo non ce la fa. Ha una crisi violenta di ipossia che lo porta ad un ricovero dopo il quale decide di allontanarsi per un periodo da Dora. Le esplicita che è solo un periodo, per recuperare le energie emotive necessarie per andare avanti in maniera qualitativamente differente in quanto teme di essersi inaridito e di non poter dare tutto ciò che vorrebbe alla sua famiglia. Dora conviene che qualche giorno di distacco avrebbe fatto bene a tutti. Riccardo prende poche cose, solo per stare via qualche giorno, va a casa della madre ottantenne. La realtà che gli si prospetta nei giorni a venire è da incubo. Non gli viene permesso di entrare in casa, di vedere Pietro, di prendere le sue cose, viene denunciato in continuazione da Dora per maltrattamenti al bambino, per violenza psicologica nei suoi confronti in quanto obbligata a fare solo ciò che lui decideva, per stalking.
Sono passati tre anni e Riccardo non ha più visto il suo adorato Pietro. Tanti sono stati i giocattoli ed i vestitini acquistati per lui che non ha mai avuto la possibilità di dare al figlio, un bambino oramai di cinque anni. Dora, che ha fatto appello alla decisione del magistrato minorile e di quello civile a favore di Riccardo, è stata respingente anche nei confronti delle sollecitazioni degli assistenti sociali, psicologi e giudici a far sì che il padre ed il figlio ritrovino la loro dimensione, il loro rapporto che per più di due anni era stato intenso, forte, intimo, fatto di piccole complicità ed abitudini.
Riccardo ora non crede più in nulla, ha difficoltà ad avere fiducia negli altri, teme sempre che ci possano essere pericoli non ben definiti dietro l’angolo, ha momenti di ansia generalizzata che lo bloccano e condizionano ogni aspetto della sua vita. Ha timore che anche il primo figlio, che gli è stato molto vicino in questi tre anni, possa all’improvviso allontanarsi e quindi perdere anche lui.
Dottoressa Stefania Martina – psicologa, psicoterapeuta