18/11/2015 – Carlo Flamigni in un convegno affermava che l’età sociale molto giovane non corrisponde più ad una età biologica molto giovane, e ciò soprattutto per la donna ma, come vedremo nell’esempio successivo, anche per l’uomo.
C’è chi pensa che la sterilità aumenterà se si continuerà l’abitudine sociale di procrastinare i tempi di una gravidanza. E’ certo che la possibilità di sganciare la sessualità dalla procreazione permette di programmare la propria genitorialità ma fa cadere nella mistificazione con se stessi che tutto e sempre possa essere possibile. E quando la coppia decide, il tempo (ed il denaro, tanto denaro) d’un tratto diventa primario su tutto.
Molto viene scandito dal tempo; il tempo per fare la terapia, il tempo di attesa che questa funzioni, il tempo del prelievo, il tempo dell’intervento, il tempo del risultato, il tempo per riprovare…
Per la donna l’urgenza di verificare la propria capacità di procreare diventa maggiore del proprio compagno e trova anche più naturale verificarla con accertamenti e visite specialistiche. L’uomo sembra essere più cauto. E’ quasi sempre la donna a sollecitarlo nel sottoporsi agli esami. Lei socialmente è più pronta ad essere la “colpevole”, l’uomo può attendere prima di dover entrare nella fase della “colpa”.
La diagnosi di sterilità apre un universo di difficoltà sia individuali sia all’interno della coppia. All’inizio c’è la difficoltà ad accettare quella sorta di “ferita narcisistica” che si esprime nel “non poter”. Riparare il corpo difettoso è ciò che nell’immediato si cerca di fare, spostando l’attenzione dalla mente al soma. Il desiderio di un figlio diventa bisogno. E così la dimensione del fare rischia di prendere il totale sopravvento su quella del pensare, del sentire, del confrontarsi sulle paure, sensazioni, emozioni e sul prefigurarsi le prospettive. Tutto questo può portare malesseri, crisi, chiusure ed incomprensioni. Spesso i partner non sono in assonanza tra quello che è il bisogno dell’una e quello dell’altro, soprattutto se il lui è stato costretto a sottoporsi a trattamenti che può aver vissuto come lesivi della propria immagine di maschio potente. Tra l’altro accade anche che la donna, pur di raggiungere il suo obiettivo procreativo, instauri un rapporto di alleanza con il medico che può portare il compagno a sentirsi escluso, percependo che l’attenzione per lui è solo nei confronti della sua funzione procreativa. C’è anche da evidenziare che la donna non diventa quasi mai una figura marginale nell’ intero processo.
Se poi si pensa all’inseminazione eterologa (attraverso un donatore), si apre un ulteriore universo di difficoltà. In tal senso, può capitare che l’uomo apparentemente accetti che la propria donna raggiunga l’obiettivo procreativo attraverso il seme di un altro uomo, ma si sottovaluta di sovente ciò che in lui si crea sotto forma di depressione, di sfiducia nelle proprie capacità (che spesso invade anche altre sfere della persona), di sviluppo di fantasie paranoidee nei confronti del donatore.
E poi c’è un altro aspetto legato al segreto. Spesso è solo la coppia (ed il medico) a sapere della incapacità riproduttiva di lui o di lei. Soprattutto nella inseminazione eterologa, il segreto che grava su tutto il percorso procreativo e che, inizialmente, può avere la funzione di difendere la coppia, diventa presto una sorta di boomerang che va a ripercuotersi sulla vita di relazione.
Allo stesso modo va considerato come delicato il periodo successivo in cui tutti i tentativi, (invasivi e dolorosi a più livelli) si saranno rivelati infruttuosi, inutili. Il senso di frustrazione e di ulteriore fallimento per la sconfitta nella battaglia contro l’inferitilità (che ha sostenuto, anche per anni, le vite di entrambi), può portare a crolli di uno dei due partner e sicuramente ad una crisi della relazione stessa.
L’analisi psicologica permette di affrontare più consapevolmente le motivazioni, le fantasie, i vissuti di identità, le aspettative ed i conflitti correlati alla spinta a procreare per poter meglio facilitare l’equilibrio tra tutte le variabili legate alla genitorialità. Dalla esperienza di alcune coppie in terapia, spesso esse si sono trovate ad affrontare da sole questo percorso delicato e complesso proprio perché imprevedibile.
Le paure devono affiorare, le perplessità trovare espressione. I conflitti all’interno della coppia devono “esplodere” prima del dopo. Spesso è necessario che lo psicoterapeuta si soffermi di più sul partner che vive con maggiore difficoltà l’intera situazione, o che sia chi si sente marginalizzato o chi ritiene di essere caricato di tutto il peso delle decisioni.
Per arrivare sull’isola di fronte si deve saper nuotare, conoscere i propri limiti e le proprie risorse, le proprie forze, la propria tenuta e soprattutto essere consapevoli del perché la si vuole raggiungere.
Vediamo la storia di Stefania e Adriano
Lui 44 anni, lei 43; sposati da circa dieci anni. Vengono in terapia per la forte depressione di Stefania.
E’ stata sposata per quasi tre anni. Dal marito non riusciva ad avere figli. In quella occasione aveva scoperto di avere una imperfezione all’utero che, spinta dal forte desiderio di un figlio, aveva subito eliminato con un intervento anche fastidioso e doloroso. Di figli però non ne ha mai avuti perché il marito aveva una scarsa produzione di spermatozoi. Lui non ha mai voluto sottoporsi a tutte le terapie che gli hanno proposto. La coppia, andata fortemente in crisi (al punto che lui aveva avviato una relazione con un’altra ragazza), si è sciolta velocemente.
Stefania, rimasta da sola, dopo circa sei mesi incontra Adriano. Si innamora di quel suo modo di essere divertente ma stabile, forte, affidabile. Lo sceglie perché sente che sarebbe potuto essere un buon padre per i suoi figli. Vanno a vivere subito insieme. Adriano, però, per molto tempo non accetta di avere un figlio. Ha alle spalle una storia familiare fatta di separazioni e abbandoni da parte dei suoi genitori. E poi lui un figlio lo ha avuto quando era giovane, un figlio visto solo pochissime volte in tutti quegli anni.
Due anni fa, finalmente dice di si a Stefania. “Facciamo un figlio, lo faccio per te ma so che non me ne pentirò”. Dopo aver provato per quasi un anno, avviano tutte le analisi cliniche per verificare la capacità procreativa di lei. Stefania è a posto. Adriano, dopo essersi sottoposto ai vari accertamenti, scopre che il suo corpo non produce in alcun modo spermatozoi. Si sottopone a terapie lunghe e dispendiose ma i risultati non si vedono. Viene proposta loro l’inseminazione eterologa. Adriano e Stefania accettano. C’è un donatore, ci sono solo due ovociti buoni congelati da sei mesi. Stefania al secondo tentativo rimane incinta ma, ad appena poche settimane, perde il bambino. D’un tratto in lei si scatena la rabbia, il ricordo di quello che aveva tanto sperato e mai raggiunto con il marito. Sente di avere sempre meno forza e speranza. Di forza e tenacia negli ultimi due anni ne ha tirate fuori tante, per sé e per Adriano che spesso sembrava voler lasciar perdere, mollare questo loro (o solo suo?) progetto. Ha dovuto far finta di non vedere la sofferenza di Adriano quando i medici hanno proposto il donatore, sollecitandolo solo a pensare che avrebbero potuto finalmente avere una creatura da amare…Stefania crolla e Adriano entra in un vortice paralizzante di sensi di colpa……..
Dottoressa Stefania Martina – psicologa, psicoterapeuta
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