LA PSICOLOGA – Mi vesto dunque sono o sono al di là di cosa indosso?


Vuoi rivolgere una domanda alla dottoressa Martina? Scrivile a ostianewsgo@gmail.com specificando nell’oggetto RUBRICA “LA PSICOLOGA” 

18/1/2018 – L’abbigliamento nasce come una necessità e come tale uniforme a tutti gli uomini e in tutte le circostanze in quanto la pelle dell’animale aveva la funzione univoca di protezione. Il cambiamento avviene quando il vestire assume il significato non più primario ma simbolico perché descrive la cultura e l’appartenenza sociale. Il vestito in questo modo “parla”. Il militare veste in maniera rigida e impeccabile per trasmettere il significato del vigore e della disciplina. Il sacerdote veste con alcuni specifici paramenti sia per rappresentare i significati della propria religione sia per esprimere l’eternità e la continuità. L’indumento dà il potere al corpo di variare e definire la realtà ed il momento. Ad esempio, indossare una gonna a pieghe è “da signora”, invece il pantalone attillato è “da giovane”.
Vestire “all’europea” è diventato dalla fine dell’800 in poi il segno di appartenenza alla civiltà egemone, aspetto questo che ha fatto perdere lentamente il valore culturale dell’abbigliamento tipicamente regionale, uniformando e destrutturando l’aspetto etnico, il sentimento di integrazione e i legami all’interno di uno specifico gruppo.
Altra valenza importante dell’abbigliamento è quella seduttiva. Freud scriveva “dove c’è tabù c’è desiderio”. Il vestito ha così la funzione di segnalare la nudità che vi è sotto e di stimolare la fantasia, seppur nascondendo il corpo. La trasparenza non definisce abbastanza ciò che copre ma non blocca l’immaginazione, ed è il motivo per cui il desiderio sessuale e l’attrazione fisica in generale cala nel periodo estivo in cui si è scoperti, spesso quasi denudati. Non così nel periodo in cui si torna ad intravvedere e ad immaginare, sia che siano uomini che donne, come potrebbe essere quel corpo oltre la camicia sbottonata e i muscoli o il seno che ricopre, il fondoschiena delineato tanto o poco in un pantalone o in una gonna. Senza il gioco dell’apparire e dello sparire è difficile che si attivi il senso della seduzione. E’ l’accusa che molti fanno a quell’abbigliamento “androgino” o troppo uniforme nella definizione delle caratteristiche specifiche da attribuire ai sessi. L’esercizio della fantasia, della creatività o della curiosità sta venendo meno anche per il disorientamento che procura vedere l’uomo che veste o usa accessori da donna e questa che veste da uomo. Il corpo ora è sicuramente e, ben venga, più libero nella sua espressione. Si è ampiamente sdoganato dall’essere “di fatica” (per gli uomini) e “di riproduzione” (per le donne) ma è caduto nelle maglie della moda che ha trasformato il desiderio in bisogno di bellezza, salute, non invecchiamento, immortalità. Il nostro corpo deve essere sempre vigoroso e adeguato ad un’età spesso ferma tra i 20 ed i 30 anni.
L’individuo così, votandosi di più all’apparire e al vedersi con gli occhi dell’altro, si è ritrovato a dare più importanza all’immagine di sé che al suo essere, alla sua personalità, a permettere che la sua identità sia confusa, non sufficientemente definibile e trattabile tra sé e sé perché messa a disposizione di prodotti “usa e getta”, fugaci ed incostanti in quanto guidati da esigenze commerciali di quella che viene definita “la moda del momento”. Non si riesce più a capire se come sono va bene o meno, se si deve mangiare perché “le curve sono belle” oppure se si deve quasi digiunare perché “magro è bello”, se un seno pieno è da ridurre o se uno piccolo è da ingrandire. Sono adeguato o devo intervenire per esserlo?
Dunque il tentativo di omologazione ha rinforzato il conformismo. Noi psicologi ci troviamo spesso a lavorare con l’espressione di patologie (il disturbo da adattamento, il
senso di inferiorità ed inadeguatezza, l’ansia da prestazione) che sono più legate alla grande spinta al conforme e non all’individuale (da non confondere con l’individualismo, ovviamente). L’essere se stesso e non voler rinunciare alla propria identità, al proprio modo di vivere e di esprimere le personali peculiarità è diventato sempre più un problema del singolo che per l’appunto non si adegua alla massa.
In sintesi il dilemma è: mi vesto dunque sono o sono al di là di cosa indosso?
Rudy viene in terapia per forti attacchi di panico che da più di due anni non gli permettono di andare oltre la soglia di casa se non accompagnato. E’ un ragazzo di 20 anni che dice di aver abbandonato la scuola perché non ce la faceva più a frequentarla, gli attacchi di panico erano all’ordine del giorno. E’ un giovane dagli occhi neri bellissimi ma con una tale magrezza da renderlo particolarmente disarmonico e poco piacevole come maschio. Del suo corpo lui non ne soffre più. E’ consapevole che la sua sia una disfunzione metabolica che gli fa bruciare buona parte di ciò che ingerisce. Questo è un aspetto che da adolescente lo ha fatto soffrire tantissimo ma che per lui oramai è quasi inesistente. Ha avuto per breve tempo una ragazza ma mai nessun’altra ha espresso interesse per lui. Pur sapendo che la sua sia una fisicità poco appetibile per il mondo femminile, ha negli anni compensato questa carenza con un attaccamento morboso alla moda, allo studio di ciò che va di moda, alle firme ed etichette di abiti e scarpe apprezzati dai coetanei. Ha sempre più approfondito quella che lui chiama una passione ma che in realtà ha solo la funzione di farlo sentire sicuro e appetibile, accettato e ricercabile: gli accessori in oro o argento di particolare forgia che sfoggia ogni volta che esce da casa (sempre per eventi molto semplici e veloci, viste le sue difficoltà). Nella prima seduta non parla delle sue enormi difficoltà a vivere una vita da ventenne ma di come veste e di quanto spenda nell’essere “alla moda”, della passione per alcune griffe e di come oramai stando a casa riesca ad acquistare abbigliamento e accessori molto costosi trovando offerte e opportunità di risparmio. E’ evidente che tutto questo lo fa sentire sicuro e gli permette di mistificare con se stesso che nessuno lo abbandonerà e che le ragazze saranno sicuramente interessate a lui perché in linea con ciò che a suo parere le ragazze vogliono. Un grande involucro protettivo. Uno specchietto per le allodole. Una copertura di ciò che veramente temeva: se stesso e le sue incapacità. Il lavoro in terapia, molto sinteticamente, è stato puntato sul riconoscere i suoi punti di forza e debolezza e su quanto il suo sintomo sia stato fortemente funzionale ad evitare a se stesso di entrare in contatto con le sue reali paure di inadeguatezza ad ampio raggio, di non essere all’altezza anche delle tante aspettative del padre che da lui, primogenito maschio, si aspettava grandi cose e attraverso lui sperava nel riscatto di ciò che non era riuscito a raggiungere.
Rudy ora ha 23 anni, ha un lavoro da apprendista come restauratore di oggetti antichi, è molto apprezzato per le sue capacità lavorative oltre che per la sua buona manualità fine e creatività che lo ha portato, nel tempo libero, a disegnare abitini e camicie particolari per la sua ragazza che, lavorando in una piccola sartoria, spesso li confeziona e vende ad amici e amiche.
E tutto iniziò con l’essere alla moda …. e poi capii che lui esisteva oltre ciò che voleva apparire.

Dottoressa Stefania Martina – psicologa, psicoterapeuta

 


LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here